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Oro

Oro

Il termine oro ha derivazione etimologica dal latino aurum, vocabolo che stava ad indicare il ben noto metallo prezioso di colore tendenzialmente giallo che tutti noi conosciamo e all’epoca ampiamente apprezzato dai romani, tra i maggiori produttori di gioielli e oggettistica d'oro della storia. L’utilizzo dell’oro nella fabbricazione di accessori d’ornamento è tuttavia da ricondursi a tempi più remoti e risale con ogni probabilità alla preistoria.

La prima civiltà a fare uso massiccio di oro per la realizzazione di gioielli fu quella egiziana, che ne sfruttò le qualità per creare pezzi di raffinata bellezza dedicati alla figura del faraone. Il sempre più popolare impiego dell’oro come elemento decorativo è probabilmente da correlare alla particolare lucentezza emanata, la quale rassomigliava a quella dei raggi del sole, allora rappresentato sotto forma di divinità.
Al di là di questo suo suggestivo significato allegorico, è verosimilmente presumibile che il pregio di cui l’oro fu sinonimo fosse principalmente dovuto alle sue proprietà di metallo prezioso facilmente malleabile e al tempo stesso resistente. E’ proprio questa sua particolarità di metallo tenero a generare la necessità di allegare l’oro ad altri metalli, allo scopo di incrementarne la durezza.
Il metallo con cui si sceglie di allegare l’oro è di fondamentale importanza non solo per la sua duttilità, ma anche per la tipologia di tonalità di oro che si desidera ottenere: una lega del noto oro giallo, ad esempio, è composta da un’elevata concentrazione d’oro puro (75%) allegata ad argento e rame; basta tuttavia diminuire di pochi punti percentuali la quantità di rame ed è possibile ottenere una lega d’oro di colorazione tendente al giallo chiaro. Un’ulteriore riduzione dell’argento farà acquisire all’oro una romantica tonalità rosea mentre combinare oro e argento, o palladio darà vita all'oro bianco, spesso utilizzato in sostituzione del platino.
Nella creazione di pezzi di gioielleria gli orefici tendono ad attenersi a dei valori standard che determinano il livello di concentrazione dell’oro in relazione a suo peso, e dunque il grado di purezza della lega d’oro stessa. Quest’ultimo è esprimibile in carati oppure titoli, vale a dire in millesimi.
Ogni carato rappresenta una sezione d’oro su un totale dei ventiquattro che costituiscono la lega completa.
Di conseguenza, se abbiamo a che fare con dell’oro 22k, per esempio, possiamo dedurne che sia composto da ventidue sezioni di oro puro e due sezioni appartenenti invece ad altri metalli.
Più semplice e intuitiva è la classificazione in titoli, i quali, come già accennato, vengono espressi in millesimi.
Fra i titoli dell’oro più diffusi vi ricordiamo:

  • 916, corrispondente a 22k;
  • 750, corrispondente a 18k;
  • 583, corrispondente a 14k;
  • 375, corrispondente a 9k.

Ogni orefice ha per legge l’obbligo di imprimere sull'oggetto fabbricato in oro un marchio costituito dal titolo corrispondente e il marchio d’identificazione del produttore espresso tramite una poligonale contenente una stella a cinque punte, un numero identificativo e la sigla della provincia in cui opera. In questo modo, il produttore si fa carico dell’esattezza del titolo dell’oro dichiarato e si rende garante della sua qualità.
E’ bene sottolineare come tuttavia l’oro sia un metallo di difficile falsificazione a causa del suo peso specifico a cui solamente altri due metalli si avvicinano: l’uranio e il tungsteno.
Il tungsteno in particolare possiede un rapporto di peso e volume piuttosto simile a quello dell’oro, ma a differenza di quest’ultimo è dotato di un valore commerciale notevolmente inferiore. Più comunemente, i tentativi di falsificazione dell’oro puntano all'aggiunta di rame alla lega allo scopo di diminuirne il titolo.
Il metodo più sicuro per testare l’autenticità del vostro oro rimane quello di metterlo a contatto con una goccia di acido nitrico: in caso non si tratti di una riproduzione, l’oro non produrrà alcuna reazione.